15 agosto 2025

Un Ferragosto diverso, tra memoria e presente

Dal ricordo della follia gioiosa alla ricerca di piccole felicità estive.



C’era una volta una canzone che cantava di un’estate pazza, fatta di sorrisi, leggerezza e giornate senza pensieri. Oggi, quell’eco sembra arrivare da un tempo lontano, come una cartolina ingiallita che custodisce immagini di strade vuote il 15 agosto, di famiglie in viaggio verso il mare o la montagna, di amici che si rincorrevano con i palloncini d’acqua sotto un sole amico. Era il Ferragosto delle tavolate all’aperto, del profumo di grigliate che si confondeva con l’odore dell’erba tagliata, delle risate che non avevano bisogno di altro per esistere.

Ma il presente racconta un’estate diversa. I colori sono più accesi, ma non sempre più luminosi. Le difficoltà economiche, i rincari e le incertezze hanno tolto a molti la possibilità di vivere la spensieratezza di un tempo. Anche chi riesce a partire, a volte, si ritrova a fare i conti con disagi, imprevisti e, in certi casi, inganni che trasformano un sogno in una delusione. È un’epoca in cui il ceto medio si assottiglia e la leggerezza diventa un lusso, mentre le notizie di cronaca raccontano di incidenti assurdi e vicende che sembrano uscire da un romanzo distorto.

Ferragosto, in origine, era un giorno di festa istituito dall’imperatore Augusto, un momento di pausa e di celebrazione dopo il duro lavoro nei campi. Nel tempo, la tradizione ha preso forme diverse: gite fuori porta, picnic, giornate al mare. Era un simbolo di sosta, un giorno in cui il tempo sembrava fermarsi per lasciare spazio alla condivisione e alla gioia semplice. Oggi, quella pausa è più difficile da trovare, non solo per ragioni economiche, ma anche per un ritmo di vita che corre senza tregua.

Eppure, forse, il senso vero di questa giornata non si è perso del tutto. Non è solo in una destinazione esotica o in una tavolata affollata che si può ritrovare il Ferragosto, ma anche in un momento di presenza, in uno sguardo scambiato, in un ricordo che scalda il cuore. La follia gioiosa di un tempo ha lasciato il posto a una follia più dura, fatta di sfide e di incertezze, ma in mezzo a tutto questo resta la possibilità di scegliere, anche solo per un’ora, di sospendere le preoccupazioni e lasciare che l’anima respiri.

Forse il messaggio è questo: l’estate, come la vita, non è mai perfetta, ma può sempre contenere un frammento di bellezza, se si ha il coraggio di guardarlo. Che sia un sorriso, un tramonto, una risata condivisa o un ricordo da custodire, ogni piccolo attimo è un pezzo di Ferragosto che nessuna difficoltà può cancellare.

E allora, a chi legge, l’augurio è semplice: che oggi possa esserci, in qualunque forma, il tuo piccolo Ferragosto.



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Frank Perna

08 agosto 2025

Abitudini e cambiamento: la forza di trasformare se stessi

Come lasciare andare il passato per costruire nuove abitudini e vivere con coraggio



Le abitudini sono il tessuto invisibile che avvolge le nostre vite. A volte ci sostengono, altre volte ci imprigionano, senza che ce ne accorgiamo. Sono quei comportamenti, modi di fare, pensieri ricorrenti che ripetiamo ogni giorno, quasi senza pensarci, e che finiscono per definire chi siamo, o almeno chi crediamo di essere.

Ma cosa succede quando la vita ci chiede di cambiare? Quando ci troviamo davanti a una svolta, a una nuova direzione, o semplicemente a un bisogno profondo di rinnovamento? Le abitudini, quelle stesse che ci hanno dato conforto, diventano spesso la nostra prima resistenza. Come un vecchio rifugio che ci tiene stretti, ci bloccano, ci fanno dubitare, ci fanno sentire che abbandonarle sarebbe come perdere una parte di noi.

È naturale. La mente, programmata per mantenere la stabilità, cerca di proteggerci dal rischio dell’ignoto. Ma ecco la verità più importante: le abitudini non sono nemiche da combattere né catene da spezzare. Sono strumenti, e come tali possono essere modificati, riadattati, ricostruiti. Cambiare abitudini non significa perderle per sempre, ma trasformarle, lasciar andare ciò che non serve più e fare spazio a ciò che può accompagnarci meglio nella nostra nuova vita.

Questo processo richiede coraggio, perché significa mettere in discussione una parte di sé e accettare l’incertezza. È normale provare paura, sentirsi smarriti, sentire un vuoto quando le vecchie abitudini si allontanano. Ma quel vuoto è anche un invito: è lo spazio dove può nascere qualcosa di nuovo, dove la nostra vita può riprendere colore e forma con maggiore consapevolezza.

Non c’è un’età o un momento giusto per iniziare questo cammino, perché il cambiamento è la sola costante della vita. Che sia una nuova passione, un diverso modo di pensare, o semplicemente una diversa routine quotidiana, ogni piccola scelta può diventare il seme di un’abitudine migliore, più in linea con chi siamo oggi.

La forza sta nel riconoscere che non perdiamo ciò che eravamo, ma cresciamo in ciò che possiamo diventare. E questa consapevolezza è la chiave per affrontare le difficoltà, per superare la paura, per abbracciare il cambiamento con cuore aperto e mente lucida.

Ricordiamoci: le abitudini sono la nostra casa, ma siamo noi a scegliere le stanze in cui vivere.



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Frank Perna

Il Mondo dei Pensieri

Un viaggio dentro i luoghi dove le idee prendono vita..



A cavallo di un pensiero, il viaggiatore varca la soglia di un orizzonte che non conosce tempo. Davanti a lui, un cielo senza cielo, dove il vuoto è riempito da scie di luce che attraversano l’aria a velocità vertiginosa. Sono pensieri in movimento: fili luminosi che sfrecciano da un lato all’altro senza mai scontrarsi, come se seguissero un ordine invisibile. Ogni scia porta un colore diverso, e il loro intreccio crea un arazzo vivo, mutevole, che si tesse e si dissolve nello stesso istante.

Mentre segue il flusso di quelle luci, il paesaggio sotto di lui comincia a prendere forma, come un’immagine che emerge lentamente dall’acqua. I colori si ammorbidiscono, il fruscio del vento si mescola a voci lontane. È la Valle dell’Infanzia. Prati di un verde impossibile si aprono a perdita d’occhio, colline modellate dalla memoria, e un vento leggero che porta con sé il profumo del pane caldo e risate che sembrano non spegnersi mai. Le case non hanno porte, come se i ricordi potessero essere visitati liberamente. Ogni volta che lo sguardo si posa su un oggetto, esso si anima, mostrando frammenti di un tempo passato che non invecchia mai.

Il passo del viaggiatore rallenta, e la luce intorno a lui comincia a vibrare di tonalità più intense. Come un’alba improvvisa, il verde si dissolve in miriadi di pennellate brillanti, i suoni dell’infanzia si fondono con note mai sentite. La Valle si trasforma nella Città della Creatività. È un luogo che non conosce geometria: torri che nascono da melodie, ponti formati da versi non ancora scritti, fiumi di pigmenti che scorrono come acquerelli vivi. Qui le idee prendono forma davanti agli occhi: un volto che diventa una melodia, una parola che diventa un albero, un sogno che si trasforma in una macchina volante. Ogni creazione è incompiuta eppure perfetta, come se fosse fatta per essere trasformata ancora e ancora.

Gradualmente, le forme libere della Creatività cominciano a ordinarsi. I colori si allineano, le curve si raddrizzano, le note si tramutano in numeri sospesi nell’aria. È come se un vento calmo portasse via il disordine gentile, lasciando spazio a un ritmo regolare. Così il viaggiatore entra nella Regione della Logica. Il paesaggio si fa ordinato, le linee dritte e le ombre nette. Le strade sono popolate da figure silenziose che tracciano calcoli nell’aria, edifici che si costruiscono e ricostruiscono seguendo regole immutabili. Qui il tempo scorre in modo regolare, eppure invisibile. Non c’è caos, ma un’armonia severa, come quella di un meccanismo antico che funziona da sempre.

L’aria nella Logica si fa più rarefatta, e in essa cominciano a comparire frammenti sospesi, come fotografie che galleggiano. Passo dopo passo, le strutture ordinate si dissolvono in un’ampia distesa. È l’Archivio della Memoria. Immense valli custodiscono immagini racchiuse in sfere trasparenti. Alcune brillano di una luce calda, altre sono opache, come se attendessero di essere ricordate. Ci sono scene di gioia e di dolore, di incontri e di addii, tutte immobili e al tempo stesso vive, pronte a rivivere al primo tocco.

E mentre il viaggiatore osserva, il cielo stesso dell’Archivio comincia a pulsare di luce. Le sfere si sollevano nell’aria e si dissolvono in bagliori che cadono come pioggia. Ogni goccia si trasforma in un colore che non esiste nel mondo reale. È così che nasce la Zona dell’Immaginazione Pura. Qui le montagne fluttuano come isole, le stelle si posano sulla superficie dell’acqua, e i colori non si limitano alla vista: si ascoltano, si toccano, si respirano. È un luogo che non appartiene né al passato né al futuro, ma al continuo nascere del presente.

Il viaggiatore comprende che questo mondo non finisce mai. Ogni passo rivela una nuova terra, ogni curva un nuovo cielo. E capisce che non lo sta soltanto visitando: ne è parte da sempre. I confini che attraversa non sono altro che confini di sé stesso, e ogni paesaggio è un riflesso di ciò che vive e cresce dentro di lui.

Quando il viaggio sembra concludersi, scopre che nulla è cambiato all’esterno. Ma ora sa che, dietro ogni pensiero, esiste un luogo infinito in cui può tornare ogni volta che vuole. 

Un luogo dove camminare è sognare, e sognare è vivere.



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Frank Perna

07 agosto 2025

Quando la verità è al contrario

A volte serve rovesciare ciò che ci dicono per vedere ciò che non vogliono mostrarci.



Viviamo in un’epoca in cui tutto sembra essersi rovesciato. Le certezze si sono fatte fragili, le fonti si moltiplicano, ma spesso invece di chiarire, confondono. Si assiste a un paradosso collettivo: più informazione abbiamo, meno verità percepiamo. E mentre le parole si rincorrono, le versioni ufficiali diventano quasi un linguaggio a parte, lontano dalla realtà delle persone.

Il mondo sembra al contrario. E non è solo una sensazione. È un cambiamento che si avverte con forza in chi osserva, ascolta, percepisce. La chiave per riconoscere la verità, oggi, non è più nei fatti dichiarati, ma spesso nell’intuizione di ciò che viene nascosto, omesso, distorto. È come se la verità avesse iniziato a parlare al contrario: bisogna leggere tra le righe, rovesciare il messaggio, per trovarla davvero.

Non è complottismo, né sfiducia cieca. È solo il tentativo umano di vedere oltre il velo. Un velo che viene tessuto ogni giorno da chi ha interesse a raccontare solo la parte più comoda della storia. Ma ciò che un tempo era mimetizzato, oggi è mostrato senza vergogna. L’ipocrisia non si nasconde più, e anzi si esibisce. La menzogna non è più costruita con attenzione: è lanciata in faccia, come se fosse ovvietà. E il problema più grande non è tanto nella menzogna stessa, quanto nella nostra abitudine ad accettarla.

Il vero veleno non è l’inganno, ma l’assuefazione ad esso. Il fatto che ormai non ci si interroghi più. Che si dia tutto per scontato. Che non si senta più il bisogno di scavare. Eppure è lì che si gioca la vera differenza: nel non fermarsi in superficie, nel continuare a porsi domande anche quando sembrano scomode, anche quando sembrano inutili.

La verità non ha un volto unico. Spesso è sommersa, mascherata, persa in mille narrazioni. E per questo non basta ascoltare una voce. Serve uno sguardo attento, una mente sveglia, e soprattutto la libertà interiore di cercare con i propri occhi. Ogni giorno.

Perché la verità non urla. La verità non si impone. La verità si lascia trovare da chi è disposto a guardare anche nel buio.

E oggi, più che mai, cercarla è diventato un atto di coraggio.



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Frank Perna

La crisi di mezza età: quando l’anima cerca di riallinearsi

Una fase silenziosa che parla forte, e che molti attraversano senza accorgersene.



C’è una fase della vita, spesso compresa tra i quaranta e i cinquant’anni, che non ha bisogno di grandi eventi per manifestarsi. Non servono drammi da film o colpi di scena cinematografici. A volte si presenta in silenzio, in punta di piedi. Eppure, quando arriva, lascia il segno.
Non si tratta solo di “crisi”, come troppo spesso viene chiamata. È qualcosa di più sottile, più profondo. Un momento in cui ci si guarda allo specchio e si avverte una crepa, un disallineamento tra ciò che si è diventati e ciò che si continua a vivere.

Ci si inizia a porre domande che non si erano mai affacciate con tanta insistenza.

“È davvero questa la vita che volevo?”
“Lo faccio perché lo sento o solo perché devo?”
“Sto crescendo o sto semplicemente resistendo?”
“Ho ancora sogni… o solo rimpianti?”

Domande che non sempre trovano una risposta immediata. A volte nemmeno la cercano: vogliono solo essere ascoltate.

Questa fase può presentarsi come una stanchezza emotiva, un calo d’entusiasmo per ciò che prima accendeva l’anima, una lieve inquietudine quotidiana che porta a sentirsi fuori posto nella propria stessa vita.
Alcuni iniziano a dubitare delle scelte fatte, a ripensare al passato con nostalgia o al futuro con timore. Altri non si riconoscono più nel loro ruolo, nelle loro abitudini, nei contesti che prima sembravano familiari.
In certi casi nasce un impulso di cambiamento: il desiderio improvviso di cambiare lavoro, ambiente, compagnia… o semplicemente cambiare se stessi.

Ma ciò che spesso viene chiamato crisi, in realtà, è una richiesta interiore di riallineamento.

Non un crollo, ma un punto di svolta.
Non un dramma, ma un'opportunità.

Perché a quarant’anni non si è più la persona che si era a venti. E se si continua a vivere seguendo schemi passati, prima o poi qualcosa si incrina. Non per colpa, ma per naturale evoluzione.

La cosiddetta “crisi di mezza età” può essere vista anche come un ricalcolo del percorso, simile a quello che fa un navigatore quando ci si allontana dalla rotta. Non è un errore. È semplicemente un invito a risintonizzarsi.

Certo, non tutti la vivono con la stessa intensità. Alcuni attraversano questa fase come un momento di riflessione, altri la affrontano con inquietudine, altri ancora preferiscono ignorarla. Ma per chi si ritrova dentro a questo sentire, sapere che è un passaggio condiviso può già essere un primo conforto.

E se non c’è una soluzione universale, c’è però una consapevolezza che può aiutare:
non è un segno di debolezza, ma di profondità.

È la prova che si è ancora vivi dentro, capaci di interrogarsi, di mettersi in discussione, di ascoltarsi. Ed è da lì che può iniziare una nuova fase. Non sempre più facile, ma forse più vera.

Alla fine, questa fase della vita non chiede risposte immediate, ma presenza.
Non pretende decisioni radicali, ma ascolto sincero.

E forse, è proprio in quel momento, quando si smette di cercare fuori e si inizia a guardare dentro, che qualcosa cambia davvero.



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Frank Perna

05 agosto 2025

Dal fumo allo svapo: un vizio che cambia forma, non sostanza

Quel respiro che dice più di quanto sembri.



C’è un nuovo gesto, sempre più comune tra i giovani di oggi. Un gesto che ricorda quello antico, quello del tirare lentamente da una sigaretta accesa. Solo che al posto del tabacco bruciato c’è un vapore profumato, una scia aromatica che sa di frutta, menta, caramella o bubble gum.

Non si fuma più, si svapa.

A prima vista potrebbe sembrare un’evoluzione, quasi un progresso. In fondo, la sigaretta elettronica è nata con l’idea, o almeno con la promessa, di sostituire la vecchia sigaretta: ridurre i danni, aiutare a smettere, offrire un’alternativa apparentemente più “salutare”. Ma come spesso accade nella storia, ciò che nasce per un certo scopo finisce per assumere un ruolo diverso, a volte persino opposto.

Oggi la sigaretta elettronica non è più uno strumento per smettere di fumare, ma un modo per iniziare.

Non è raro vedere adolescenti svapare fin dai primi anni delle superiori, senza mai aver toccato una sigaretta tradizionale. In molti casi non è la ricerca di un sollievo o di un sostituto, ma un modo per essere parte di qualcosa. Perché la sigaretta elettronica, oggi, è un codice sociale, un accessorio, uno status. Fa parte di quel linguaggio non verbale con cui si entra in sintonia con il gruppo. E in fondo, è sempre stato così. Anche chi fumava, lo faceva spesso non per necessità, ma per uniformarsi. La differenza è che oggi il gesto è cambiato, ma la dinamica resta.

Il paradosso è evidente: uno strumento nato per smettere, ha portato molti a cominciare.

E non è solo questione di moda. La nicotina, in molti casi, c’è eccome. Anche se nascosta dietro sapori gradevoli e confezioni colorate. In alcune versioni, è presente in quantità persino superiori rispetto alle sigarette classiche. Solo che arriva in modo più “soffice”, più mascherato, più accettabile.

Ma la dipendenza resta, se non fisica, almeno psicologica. Perché il gesto si imprime, diventa parte della routine, costruisce un’identità, si ripete e si consolida.

Alcuni studi parlano già di effetto gateway, quel fenomeno per cui lo svapo sarebbe la porta d’ingresso al fumo tradizionale. Un’ipotesi inquietante, soprattutto se consideriamo che il mercato della sigaretta elettronica è sempre più rivolto ai giovani: packaging accattivante, colori brillanti, spot con influencer, design pensati per essere portati in tasca come uno smartphone. Non più un oggetto da nascondere, ma da mostrare.

E qui si apre un’altra riflessione, forse la più importante.
Chi guadagna, davvero, da tutto questo?

Senza scivolare nella dietrologia, è lecito pensare che la salute dei consumatori non sia mai l’obiettivo primario. Come per ogni prodotto di massa, quello che conta è che sia desiderabile, vendibile, replicabile. Si parla di alternativa salutare, ma la verità è che si è solo aperto un nuovo mercato, con nuovi clienti e nuove dipendenze.

Alla fine, si cambia la confezione, si cambia il nome… ma la sostanza resta identica. Un nuovo volto per un vecchio meccanismo.

Aspiri qualcosa che non è aria. Respiri qualcosa che non ti serve. Ti aggrappi a un oggetto per sentirti incluso, accettato, identico agli altri. Ma davvero serve tutto questo per essere se stessi?

C’è qualcosa di più profondo che questa tendenza porta con sé: l’eterna difficoltà di restare liberi dalle pressioni sociali. Il bisogno di sentirsi parte di un gruppo, anche a costo di rinunciare alla propria autenticità. È la stessa dinamica che, in passato, ha fatto iniziare a fumare molti giovani, solo per sentirsi grandi, forti, uguali agli altri.

Poi, per alcuni, arriva il momento della consapevolezza. E lì cambia tutto.

Non si tratta di giudicare, ma di guardare le cose con occhi nuovi. Non per stabilire chi ha ragione o torto, ma per provare a capire.

A volte, basta un punto di vista diverso per far emergere ciò che era sotto gli occhi di tutti.

La libertà non è scegliere tra due forme di fumo.
La libertà è capire che non serve nessuna delle due per sentirsi accettati.

Non è questione di demonizzare, ma di conoscere, e soprattutto scegliere con coscienza. Fumare o svapare non fa di nessuno una persona sbagliata. Ma farlo senza sapere davvero cosa si sta facendo, questo sì, è il vero problema.

E allora che questo sia un pensiero gettato nel flusso, magari inutile per qualcuno, ma forse utile per altri. Perché il cambiamento non nasce da una legge, da una moda o da un dispositivo. Nasce da una scintilla interiore.

E quella scintilla può essere semplicemente una presa di coscienza, un attimo di lucidità in mezzo al vapore.



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Frank Perna

03 agosto 2025

3 agosto 1492: la partenza che cambiò tutto

Quando la scoperta diventa lo specchio della natura umana.



Il 3 agosto 1492, Cristoforo Colombo salpò da Palos de la Frontera alla volta di un mondo che, agli occhi europei, ancora non esisteva. Non sapeva dove stesse andando, ma sapeva che qualcosa avrebbe trovato. Quella data, impressa nei libri di storia, segna ufficialmente l’inizio di una delle più grandi svolte geopolitiche dell’umanità.

Ma più che una scoperta, fu l’inizio di una fine: quella di popoli, culture, lingue e spiritualità che abitavano quelle terre da secoli.

Colombo non scoprì nulla. Le Americhe non erano terre sconosciute: erano semplicemente terre sconosciute agli europei. Eppure, bastò questo per ribaltare il concetto stesso di civiltà. Quel viaggio segnò l’avvio del colonialismo, della sopraffazione giustificata dall’ignoranza, del potere esercitato nel nome della "superiorità" culturale e tecnologica.

È impossibile oggi immaginare un mondo senza quella scoperta. 
Qualcuno, prima o poi, avrebbe attraversato l’oceano. 

Ma il problema non fu il viaggio, né la scoperta. 
Il problema fu l’uomo, e il modo in cui reagì al diverso, al “nuovo”, a ciò che non comprendeva.

Bastava forse un altro approccio, un'altra coscienza. Non era necessario annientare chi era lì da sempre. Si poteva incontrare, conoscere, convivere. 

Ma l’arroganza europea, o meglio, dell’essere umano, non ha mai lasciato spazio al rispetto. Solo al dominio. Così, come oggi accade altrove, come è accaduto mille volte nella storia, si è scelta la conquista anziché il dialogo.

C’è una scena nel film “Non ci resta che piangere”, di Troisi e Benigni, nella quale i personaggi Mario e Saverio si ritrovano improvvisamente nel passato.

Saverio ipotizza di fermare Cristoforo Colombo prima della sua partenza.

In un momento di ironia amara, prova a spiegare l’assurdità della “scoperta” dell’America con un esempio disarmante: come se qualcuno andasse in Puglia, dichiarasse di averla scoperta e se ne appropriasse, nonostante i pugliesi vivano lì da duemila anni.

L’effetto è comico, ma il pensiero colpisce nel profondo.
Perché, in fondo, è esattamente ciò che accadde.

Non si scopre un luogo già abitato.
Non si cancella chi c’era, solo perché non lo si comprende.

La storia non si può cambiare. Ma può, e deve, insegnare.

La verità è che non fu la scoperta di una terra, in sé, a condannare un popolo, ma il modo in cui l’essere umano, da sempre, si pone davanti al diverso.

E se Colombo non fosse mai partito, qualcun altro lo avrebbe fatto. Perché ciò che doveva cambiare non era la rotta delle caravelle, ma la direzione dello spirito umano.

Non verso nuovi confini, ma verso una nuova coscienza.

Finché il mondo sarà governato dalla paura della differenza, e non dal rispetto per essa, ogni conquista porterà con sé una perdita.

E il vero progresso rimarrà lontano.
Non nelle mappe, ma nell’anima.



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Frank Perna

02 agosto 2025

Senza fede, ma non senza anima

Lettera di un Ateo: un'anima che non cerca risposte, ma abbraccia ogni istante.



Non ho bisogno di credere per sentire.

Sento anche senza una voce che mi guidi,
senza una verità da afferrare,
senza una promessa che mi aspetti altrove.

Mi sveglio ogni giorno
con il cuore aperto al mistero,
quello che non spiega, ma abbraccia.

Mi basta la bellezza che arriva
quando meno la cerco,
il bene che si manifesta in un gesto,
in uno sguardo,
in un silenzio che parla.

Non ho un dio da nominare,
ma ho gratitudine da donare.
Non ho dogmi, ma ho rispetto.

E se qualcuno trova pace in ciò che non vedo, lo accolgo.

Non combatto la fede degli altri.
Semplicemente, non la cerco per me.

A volte mi chiedono cosa mi sorregge.
Forse proprio questo:

sapere che la vita accade
anche senza un senso scritto.
E che il senso, se c’è,
lo si incontra vivendo.

Mi hanno chiamato ateo,
come fosse un’assenza.

Ma io non mi sento vuoto.

Sono pieno di dubbi,
pieno di emozioni,
pieno di domande che non esigono risposte.

Quando accade qualcosa di inspiegabile,
non cerco un disegno.
Mi lascio toccare.
E basta.

Ci sono persone che hanno bisogno di credere,
e io lo rispetto.

Perché anche quello è amore:
cercare conforto in qualcosa più grande.

Io lo cerco in qualcosa più vicino:
un abbraccio, una parola,
il profumo del pane,
il vento che muove le foglie.

Non ho bisogno di sapere tutto.
La verità può restare inafferrabile.

Io scelgo di esserci. Qui.

In questa confusione sacra
che chiamiamo vita.



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Frank Perna

Contro le illusioni: uno scetticismo lucido

Non è chiusura, è difesa. Quando dubitare diventa una forma di libertà.



C’è una forma di scetticismo che non nasce dalla sfiducia verso l’altro, ma dalla volontà di non cadere ancora una volta nelle trappole del tempo. Non è cinismo né arroganza, ma un istinto naturale a preservarsi. Una specie di radar silenzioso che, di fronte alla moltitudine di illusioni vendute come miglioramenti, si attiva e dice: “Aspetta. Guarda meglio.”

Nel corso delle epoche, ogni tempo ha prodotto le sue illusioni. Alcune venivano dal potere, altre dalla fede, altre ancora da ciò che chiamavamo progresso. Oggi, forse più che mai, siamo circondati da promesse fatte con voce suadente e colori brillanti. Promesse di felicità, benessere, appartenenza. Promesse che parlano alla nostra insicurezza con il tono del salvatore.

Ed è qui che lo scetticismo, quello vero, si mostra per quello che è:
non una chiusura, ma una forma di lucidità.

È una barriera, non tra noi e le persone, ma tra noi e ciò che viene venduto come verità salvifica. È la capacità di riconoscere quando dietro a un messaggio non c’è il desiderio di farci crescere, ma di farci consumare.

Questa difesa non toglie la bellezza del sogno, anzi: la custodisce.

Chi è scettico non ha smesso di sognare. Ha solo imparato a non confondere il sogno con l’illusione. È la differenza tra coltivare un desiderio e lasciarsi comprare da un desiderio altrui.

Lo scettico osserva, ascolta, e poi sceglie. Non si nega all'empatia, né si priva del calore umano. Ma ha imparato a non consegnarsi completamente a ciò che luccica. Perché sa che non tutto ciò che luccica è oro, e non tutto ciò che promette è vero.

E non si tratta solo di pubblicità o consumismo.

Le illusioni moderne abitano anche nelle parole di certi leader, nelle spiritualità prêt-à-porter, nei percorsi che promettono di sanare l’anima in dieci passi. C’è un mercato esistenziale fiorente, oggi. E come ogni mercato, ha bisogno di clienti.

Allora chi sceglie di restare lucido diventa per forza di cose una figura sospesa:
mai completamente dentro, mai del tutto fuori. 

Ma proprio in questa sospensione trova un equilibrio prezioso.

Essere scettici, in fondo, non significa spegnere la fiducia. 
Significa darle una direzione. Significa scegliere a chi e a cosa donare la propria attenzione. 
E, soprattutto, significa continuare a camminare con la testa alta e il cuore vigile, in un mondo dove molti hanno dimenticato il valore del dubbio.

Perché in certe stagioni della vita, è proprio il dubbio a salvare.



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Frank Perna

01 agosto 2025

Lo Spettacolo Del Conflitto Online

Litigi in diretta, follower come tifosi: che cosa stiamo guardando davvero?



C’è stato un tempo in cui un disaccordo si affrontava con una telefonata, uno scambio privato, o magari con un silenzio che sapeva dire molto più di mille parole. Oggi quel tempo sembra lontano, sepolto sotto una montagna di contenuti in cui il conflitto non solo è esibito, ma anche confezionato, pubblicato e monetizzato.

YouTube, come altri spazi digitali, è diventato una vetrina per un nuovo tipo di spettacolo: il drama content. Discussioni, risposte, accuse e controaccuse che rimbalzano da un video all’altro, seguite da richieste di scuse pubbliche o, peggio ancora, da veri e propri attacchi personali. Il dissenso è ormai intrattenimento, e il confronto, che un tempo serviva a chiarire, oggi serve solo ad alimentare l’algoritmo.

Molti usano termini come dissing, prestiti da un linguaggio che un tempo apparteneva al mondo della musica o delle faide verbali, ora divenuti “generi” legittimati, normalizzati e consumati come fossero una nuova categoria di contenuti. Ma non si tratta più solo di linguaggio: si tratta di identità, di modi di esistere in rete, di modelli che si diffondono.

Il conflitto diventa virale, e attorno ad esso si forma una tifoseria. I follower, sempre più coinvolti, si trasformano in schieramenti: l'uno contro l'altro, pronti a difendere il proprio "creatore" come fosse una fede. La sezione commenti, che dovrebbe essere uno spazio di scambio, si trasforma in una trincea. Un luogo dove il dialogo si frantuma e dove anche un'opinione espressa con rispetto può essere attaccata con violenza.

Dietro ogni commento rabbioso, però, spesso si nasconde qualcosa di più profondo. Non si tratta sempre e solo di odio: talvolta è frustrazione, solitudine, senso di esclusione. La rete diventa un contenitore dove molti sfogano ciò che non riescono a elaborare altrove. E quando questi sfoghi si sommano, si crea un'eco collettiva che amplifica il disagio invece di curarlo.

YouTube, e il web in generale, non sono il male. Sono uno specchio, una lente che amplifica ciò che siamo. Ma se il riflesso è distorto, se la lente è incrinata, ciò che restituisce rischia di essere una caricatura dell’umanità. Una cultura della reazione, dove ciò che conta è rispondere in fretta, colpire duro, farsi notare.

E allora si può fare solo una domanda, semplice ma potente: Vogliamo davvero essere parte di questo spettacolo, oppure possiamo offrire un’alternativa più sana?

Chi si pone questa domanda ha già fatto un passo fuori dalla giostra. Forse non sarà il più applaudito, né il più seguito, ma sarà, nel suo piccolo, un gesto di resistenza. Una scelta di saggezza, in un mondo che sembra averne sempre meno.



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Frank Perna

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