12 luglio 2025

E se fossimo condannati a rinascere all’infinito?

Una riflessione sulla responsabilità verso il mondo, immaginando l’esistenza come un ciclo eterno di ritorni.



C’è un’ipotesi che ogni tanto torna a bussare alla mente, silenziosa ma insistente, come fanno certi pensieri che non cercano risposte, ma mettono in discussione le domande. È uno di quei “se” che spostano il punto di vista, che non pretendono verità, ma aprono varchi nella coscienza.
Se fossimo condannati a rinascere per sempre, in un ciclo eterno e ininterrotto, privato di scopi superiori o evoluzioni spirituali, cosa faremmo?

Non si tratta di reincarnazione nel senso tradizionale, con una crescita verso qualcosa di più alto, ma di un ritorno ciclico e senza fine sulla stessa terra, nella stessa realtà. Un’eternità non come premio, ma come prigione. Un eterno ritorno non come metafora, ma come condizione.

In un’ipotesi così radicale, ogni azione che compiamo oggi acquisterebbe un nuovo peso. Perché se il mondo in cui viviamo è destinato a essere anche quello in cui torneremo, allora diventa logico, forse addirittura necessario, renderlo migliore. Non per generosità. Non per altruismo. Ma per un gesto di intelligenza egoistica.

Immaginare di rinascere qui, di nuovo, e ancora, e ancora… cambia la prospettiva. Ogni scelta, ogni sistema, ogni seme che piantiamo potrebbe ricadere proprio su di noi, in un tempo che non conosciamo, ma che ci apparterrà di nuovo. E allora, migliorare le condizioni del pianeta, lavorare per la giustizia, per la dignità, per l'equilibrio… non sarebbe più solo un atto idealistico. Sarebbe una strategia di sopravvivenza futura.

Ma anche togliendo questa ipotesi, anche lasciando che tutto resti sul piano teorico, la conclusione non cambia poi molto. Perché anche se non fossimo destinati a ritornare, lasciare un mondo migliore resta la scelta più sensata. È come se questo “se” servisse solo da cornice per riportarci a un principio più grande: quello della responsabilità.

In fondo, chi dice che il bene si faccia solo per gli altri? A volte si fa per sé. Per la coscienza. Per dignità. Perché è giusto. E anche se non avremo mai certezza di tornare, il senso umano più profondo dovrebbe comunque spingerci a migliorare ciò che ci circonda. Se non per noi, per chi verrà dopo. Se non per ideologia, per equilibrio. Se non per amore, per intelligenza.

Forse non sapremo mai se davvero rinasceremo.
Ma vivere come se potessimo farlo, come se ogni nostro gesto potesse un giorno tornare indietro, ci porterebbe, comunque, a fare la cosa giusta.

E in fondo, questo basta.
Perché ci sono pensieri che non hanno bisogno di risposte. Solo di attenzione.



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Frank Perna

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