08 luglio 2025

Quando il messaggio è giusto, ma il mezzo è sbagliato

Riflessioni sulla responsabilità di chi comunica messaggi ispirazionali e sull’importanza della trasparenza, anche a fin di bene.



In rete circolano testimonianze che cercano di insegnare qualcosa sulla vita attraverso esperienze forti, spesso al limite tra il reale e lo spirituale. Una di queste racconta un’esperienza di pre-morte seguita all’assunzione di un integratore acquistato online, rivelatosi pericoloso. Un episodio grave, che ha portato due persone in ospedale, una in coma, l’altra in condizioni critiche, ma di cui, sorprendentemente, non viene quasi detto nulla. Nessuna spiegazione concreta su che prodotto fosse, né un reale tentativo di avvisare o mettere in guardia altri da rischi simili.

Il racconto si concentra però quasi esclusivamente sugli effetti spirituali di quell’evento, sorvolando completamente sulla causa scatenante: un integratore che ha avuto effetti devastanti. Nessun approfondimento, nessun riferimento chiaro al prodotto, come se il punto centrale fosse secondario. Ed è proprio questa omissione, questa mancanza di trasparenza, che apre la porta a una riflessione più ampia.

Ci si può davvero limitare al messaggio finale, per quanto edificante, se tutto ciò che l’ha preceduto viene cancellato? È giusto mettere da parte la realtà per far spazio solo all’ispirazione?

Ci sono contenuti che riescono, in pochi minuti, a toccare corde profonde dell’animo umano. Offrono parole di speranza, parlano di rinascita, di luce oltre il buio. Funzionano perché offrono una via, una direzione. Eppure, spesso, la narrazione si appoggia su basi fragili, semplificate o addirittura distorte.

Un messaggio di consapevolezza che nasce da un’esperienza inventata o manipolata può davvero essere considerato valido? O rischia, anche involontariamente, di illudere chi cerca risposte vere?

C’è un confine sottile tra ispirare e ingannare. Ed è proprio lì che si apre una domanda scomoda, ma necessaria: è etico educare al bene usando mezzi opachi? Si può giustificare una scorciatoia, solo perché il traguardo è positivo?

In un’epoca in cui i contenuti viaggiano veloci e influenzano le scelte delle persone, ignorare la responsabilità di come si trasmette un messaggio è un lusso che non possiamo più permetterci. Perché dietro ogni racconto c’è chi ascolta davvero, chi prende sul serio quelle parole, chi ne viene ispirato. E, talvolta, anche chi ci si fa male.

E allora forse dovremmo chiederci: non si può insegnare a vivere meglio anche senza nascondere la verità? Non si possono raccontare storie vere, senza bisogno di costruire illusioni? La consapevolezza non ha bisogno di effetti speciali. Ha bisogno di onestà.

Chi comunica ha un ruolo, che lo voglia o no, ed è quello di aiutare le persone a vedere meglio. A crescere. A riflettere. Ma la crescita vera ha bisogno di radici profonde, non di narrazioni traballanti. Servono verità scomode, domande aperte, non solo risposte comode.

Perché se vogliamo un mondo più consapevole, allora dobbiamo anche prenderci il rischio di essere trasparenti. Di dire le cose come stanno, senza paura che la realtà, da sola, non basti. Perché a volte è proprio la verità a illuminare. E ha molto più potere di una bella bugia.



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Frank Perna

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