Abbiamo costruito una società dove le policy contano più della persona. Ma davvero vogliamo un mondo senza eccezioni, senza umanità?
Viviamo in un’epoca in cui le regole, le policy, i protocolli sono diventati il filtro attraverso cui si valuta ogni richiesta, ogni azione, ogni persona.
Un mondo dove l’ordine formale ha lentamente soppiantato il senso del giusto, quello che nasce dalla coscienza e non dai regolamenti interni.
E così, mentre si perfeziona l’efficienza, si perde qualcosa di infinitamente più prezioso: l’umanità.
Le aziende, come le istituzioni, parlano di empatia nei loro slogan, nei loro bilanci sociali, nei loro spot pubblicitari. Ma quando l’empatia viene chiamata a manifestarsi concretamente, davanti a un bisogno reale, spesso si ritira dietro un muro invisibile:
“Non è previsto.”“Non rientra nella casistica.”“Non possiamo fare eccezioni.”
Non possiamo. Oppure non vogliamo?
Il problema non è più solo burocratico. È profondamente etico e culturale.
Stiamo accettando, senza nemmeno rendercene conto, che le persone diventino numeri, che le storie si semplifichino in caselle, che il dolore debba giustificarsi con un codice per essere accolto.
E allora accade l’assurdo: chi per anni ha lavorato con dedizione, si trova davanti a un sistema che non riconosce il percorso, il sacrificio, il contesto. Conta solo la procedura.
Conta solo il rispetto impersonale delle norme, anche quando la norma stessa contraddice la vita.
Ma la vita non entra in un foglio Excel.
Non si pianifica, non si categorizza, non segue orari o regolamenti. La vita, quella vera, è fatta di malattie improvvise, di fragilità che crescono in silenzio, di equilibri familiari che saltano da un giorno all’altro.
E di fronte a tutto questo, una civiltà degna di questo nome dovrebbe saper ascoltare, accogliere, adattare. Invece, spesso, respinge.
Ci siamo ritrovati così in una società dove, se non rientri in uno schema, non esisti. Non importa quanto hai dato. Non importa quanto stai perdendo.
Non importa se la tua richiesta non è un privilegio, ma solo una richiesta di dignità.
E il dramma più grande è che questa logica non riguarda solo il mondo del lavoro.
Riguarda anche la sanità, la scuola, l’accesso ai servizi, i diritti.
Ovunque ci sia una macchina burocratica, c’è sempre più spesso un essere umano che si frantuma davanti a una porta chiusa.
E allora ci chiediamo:
Quando abbiamo accettato che l’efficienza valesse più della compassione?
Quando abbiamo smesso di considerare le eccezioni come parte stessa della vita?
Se una società non riconosce più il valore della persona sopra la regola, allora ha perso la sua bussola. E non esiste progresso in un sistema che non lascia spazio alla cura dell’altro, alla solidarietà, alla responsabilità condivisa.
Non si tratta di abbattere le regole.
Si tratta di non renderle sacre a tal punto da dimenticare perché sono nate.
Perché ogni legge, ogni procedura, ogni norma, nasce, o dovrebbe nascere, per servire le persone, non per soffocarle.
Quando le regole diventano dogmi, quando i regolamenti sostituiscono la coscienza, quando nessuno è più disposto a prendersi la responsabilità di dire “facciamo un’eccezione perché qui c’è una vita in gioco”, allora sì,
abbiamo smarrito qualcosa di fondamentale.
Perché una civiltà senza empatia è solo una struttura ben organizzata. Ma vuota.
E la dignità non può essere una voce di bilancio.
- Esplora la nostra serie di articoli che analizzano le diverse sfaccettature della vita.
Visita l'indice dei temi per saperne di più. Analisi di un Aforisma. - Trova ispirazione con altri aforismi e contenuti nelle nostre playlist su YouTube.
Guarda ora.
Frank Perna
Nessun commento:
Posta un commento