13 maggio 2025

L’ipocrisia leggera come una busta

Si predica ecologia, si vende plastica, si scarica la colpa. Una riflessione sulle incoerenze ambientali del nostro tempo.



C’è una leggerezza, oggi, che pesa più di qualsiasi carico: è la leggerezza dell’ipocrisia.
Ha l’aspetto di una busta biodegradabile, si dichiara “amica dell’ambiente”, ma sotto la sua superficie trasparente si nasconde un sistema molto più opaco. Una struttura che assolve se stessa in pubblico, mentre scarica la responsabilità sulle spalle dell’unico che, in fondo, ha solo il torto di esserci dentro: il cittadino.

Si può cominciare dalla plastica, che è il simbolo più evidente. Si condannano le bottigliette, si mettono in discussione le confezioni, si promuove l’uso della carta, si raccomanda il riuso… ma intanto tutto continua ad essere avvolto, imbustato, confezionato, protetto, isolato, duplicato in involucri che servono più all’estetica e al marketing che alla funzione. È un sistema che grida “sostenibilità” ma vive di imballaggio. Che predica la riduzione, ma si nutre di eccesso.

In mezzo a questa scenografia ecologica, il cittadino riceve il messaggio: “Fai la tua parte.”

Ed è giusto farla, intendiamoci. La raccolta differenziata è un gesto importante, il rispetto ambientale è un dovere morale. Ma ciò che stona è la sproporzione tra le responsabilità effettive e quelle attribuite.

Perché la narrazione è tutta in discesa: dalle aziende, che impongono le regole del gioco, si passa ai governi, che fanno finta di regolarle, poi ai comuni, che gestiscono in modo incerto, fino ad arrivare all’anello più debole. E lì ci si ferma. Il cittadino, spesso già in difficoltà a capire dove buttare un cartone sporco o un tappo di metallo, diventa improvvisamente il colpevole assoluto.

E il paradosso raggiunge il suo apice proprio lì: nella busta.

Quella stessa busta che si rompe, che si sbriciola sotto la pioggia, che fa perdere gli acquisti lungo la strada, quella busta lì è diventata il simbolo dell’impegno ambientale. È come dire che basta un segno per salvarsi la coscienza. Il gesto, ormai, vale più della sostanza.

Ma sotto quella busta c’è un intero sistema che continua a funzionare come sempre. Solo più silenziosamente. Perché dietro alla differenziata ben fatta, c’è un lavoro che il cittadino compie gratis: seleziona, separa, lava, divide. E quel lavoro, poi, produce materiale che viene ritirato, raccolto e… venduto.

Sì, venduto.

Perché la filiera del riciclo non è un atto di beneficenza. È un business. Pulito, redditizio, ordinato.
E il cittadino, che ha fatto da operaio invisibile, oltre a pagare il servizio, non riceve nulla.
Né un ringraziamento, né uno sconto. Solo la retorica del dovere.

Così accade che chi produce montagne di rifiuti a monte, continui indisturbato. Chi gestisce male i flussi, le discariche, gli impianti, si autoassolve.
E chi si limita a vivere, consumare, mangiare e respirare... venga indicato come responsabile del disastro.

Il messaggio è chiaro:
la colpa è sempre di chi è più in basso. Ma il profitto, quello, guarda sempre dall’alto.

E allora, no. Non si tratta di negare l’importanza della coscienza ambientale.
Si tratta di smascherare una narrazione falsa.
Quella che chiama “colpevoli” gli stessi che reggono sulle spalle una montagna di incoerenze.

La busta si rompe.
Ma il gioco, quello resta ben confezionato.



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Frank Perna

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