Quando la tecnologia si fa piccola, ma lo stile sceglie di occupare spazio. Un paradosso che racconta molto di noi.
C'è stato un tempo in cui indossare delle cuffie significava portarsi addosso due piccole casse stereo collegate da una fascia rigida che attraversava la testa. Poi è arrivato il tempo degli auricolari: invisibili, leggeri, comodi. Oggi? Tornano le cuffie grandi, ingombranti, appariscenti. Non perché servano, anzi, molti modelli non offrono neppure un audio superiore, ma perché si vedono, si sentono. In tutti i sensi.
La moda non è esclusa. Dopo decenni di tagli asciutti e minimalismo, ecco tornare le giacche oversize, le spalle larghe, i pantaloni larghi. Come se l’essere umano, in un mondo sempre più smart, sentisse il bisogno di lasciare una traccia più evidente della propria presenza. Un gesto, forse, per non scomparire in un flusso di dati sempre più veloci, più leggeri, più impalpabili.
C'è un che di poetico in tutto questo.
La corsa verso il minimo, interrotta da un ritorno all'ingombro.
Una memoria che torna visibile.
Un modo per dire: “Sì, ci sono anch’io”.
E allora quel paradosso, che prima sembrava solo un’anomalia, comincia ad assomigliare a una piccola ribellione dell’anima.
In un mondo che vuole farsi sempre più invisibile, qualcuno sceglie di farsi notare.
E non è una semplice questione di stile: è una dichiarazione esistenziale.
Perché forse, dopo tutto, l’ingombro non è solo peso.
È anche presenza.
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Frank Perna
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