12 aprile 2025

Quando lo Stato si ritira

Cosa accade quando i cittadini difendono le strade che lo Stato ha lasciato indietro.



C'è un punto invisibile, ma reale, in cui la fiducia si rompe. Una soglia oltre la quale le persone non sentono più lo Stato come qualcosa che li protegge, ma come un'eco lontana che continua a ripetere leggi, regole, promesse… mentre fuori, la realtà è un'altra.

In quel punto, scendono in strada. Non con bandiere, né con proclami. Ma con giacche normali, facce stanche dopo una giornata di lavoro, e la cena ancora da digerire. Alcuni li chiamano Articolo 52, come l'articolo della Costituzione che parla del dovere di difendere la Patria. Altri, semplicemente, li vedono camminare di notte, in silenzio, attraversando piazze dove prima si aveva paura a passare.

Non sono vigilantes, né giustizieri da film. Sono padri, fratelli, amici. E la loro “colpa”, se così si può dire, è quella di non sopportare più di vedere il proprio quartiere abbandonato, la propria città in balia di chi agisce senza rispetto, senza freni, senza nulla da perdere.

Lo fanno perché nessun altro lo fa.

Eppure, quando lo fanno, arrivano le critiche. C'è chi li accusa di voler sostituirsi alla polizia. Chi li riduce a fenomeno da social. Chi li disegna come un rischio per l’ordine pubblico. Ma l’ordine pubblico, per loro, si è già spezzato da un pezzo. E in quel vuoto, hanno deciso di esserci.

La verità, forse, è più semplice e più amara: quando lo Stato si allontana, la società si reinventa. E lo fa con ciò che ha. Con quel che resta. Con quel che può.

In alcune città italiane, in alcuni angoli dimenticati dove la notte è diventata terreno fertile per degrado, piccoli furti, violenze, minacce, le famiglie hanno smesso di aspettare. Hanno iniziato a reagire, a modo loro. Non per voglia di potere. Ma per istinto di sopravvivenza.

E allora la domanda vera è: è più pericoloso chi agisce per difendere la propria comunità o chi resta a guardare mentre tutto si consuma nel silenzio istituzionale?

Questo non è un elogio. Non è una difesa. È solo un racconto, uno di quelli che si sentono sussurrare nei bar, nei portoni, nei gruppi WhatsApp di quartiere. Ma che pochi hanno il coraggio di scrivere.

La società civile, quella vera, non sempre si muove sotto i riflettori. A volte si muove di notte, nei vicoli, tra i corridoi dell’indifferenza. Si muove per amore, per rabbia, per paura. Ma si muove.

Forse sarebbe più comodo che non lo facesse. Che restasse ferma, in attesa. Ma non è questo il tempo dell’attesa. È il tempo delle domande.

E la domanda più urgente è: quanto ancora può reggere un popolo che si abitua a difendersi da solo?



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Frank Perna

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