Trent’anni dopo, il conflitto continua. Cosa resta degli accordi?
Più di trent’anni fa, il 13 settembre 1993, veniva firmato il Trattato di Oslo, un accordo storico tra Israele e Palestina che avrebbe dovuto rappresentare un primo passo verso la pace. I leader di entrambe le parti, Yasser Arafat e Yitzhak Rabin, si strinsero la mano davanti agli occhi del mondo, con la mediazione dell’allora presidente americano Bill Clinton. Un’immagine potente, simbolo di speranza. Eppure, a distanza di tre decenni, il conflitto è ancora presente, più acceso che mai.
Cosa prevedeva il Trattato di Oslo?
L’accordo mirava a creare un percorso graduale per la convivenza pacifica tra Israele e Palestina. Tra i punti chiave:
- Il riconoscimento reciproco tra lo Stato di Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).
- L’autonomia palestinese su alcune aree della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.
- Un periodo di transizione di cinque anni per negoziare uno Stato palestinese definitivo.
Sembrava un punto di svolta. Ma la storia ha dimostrato il contrario.
Perché la pace non è mai arrivata?
Gli ostacoli sono stati molteplici. Da un lato, la continua espansione degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi ha minato la fiducia nei negoziati. Dall’altro, il crescente malcontento tra i palestinesi ha alimentato l’estremismo e l’inasprimento del conflitto.
Le leadership politiche sono cambiate e con esse le strategie. Il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, che aveva creduto negli accordi, fu assassinato nel 1995 da un estremista israeliano contrario al processo di pace. Da allora, il dialogo si è indebolito e la violenza ha ripreso il sopravvento.
Un mondo che parla di pace, ma non la vuole davvero?
Il caso di Oslo rappresenta un esempio emblematico della politica internazionale. Spesso si firmano trattati, si stringono mani, si rilasciano dichiarazioni di intenti, ma dietro le quinte ci sono interessi che vanno oltre il concetto di pace. Il conflitto israelo-palestinese è una questione geopolitica, economica e strategica, dove le potenze mondiali giocano il loro ruolo, non sempre in modo trasparente.
Il sostegno economico e militare a Israele da parte degli Stati Uniti, il controllo delle risorse nella regione e gli equilibri politici fanno sì che la situazione resti bloccata. La Palestina, dal canto suo, continua a essere frammentata tra diverse fazioni, con Hamas e l’Autorità Palestinese che spesso non condividono la stessa linea politica.
Il passato è il riflesso del futuro?
Guardando alla storia, vediamo come il mondo abbia sempre oscillato tra guerre e tentativi di pace. Oslo doveva essere un punto di svolta, ma si è rivelato solo una parentesi. La verità è che senza un reale impegno da parte dei leader mondiali e senza un cambio di mentalità, difficilmente si potrà vedere una pace duratura.
L’umanità ha le capacità di costruire un mondo migliore, ma chi detiene il potere spesso segue logiche che nulla hanno a che fare con il benessere collettivo. Se la storia continua a ripetersi e il potere segue sempre gli stessi schemi, possiamo davvero sperare che un giorno le cose cambino? O il passato è già scritto nel nostro futuro?
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Frank Perna
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