Quando l’energia pulita sacrifica la terra e il paesaggio, si perde la vera essenza del rispetto ambientale.
In un tempo in cui la parola “sostenibilità” riecheggia ovunque come simbolo di progresso e salvezza, si fa strada una pratica che, pur vestita di verde, mostra le contraddizioni più profonde del nostro rapporto con la terra: la diffusione massiva di pannelli fotovoltaici installati su terreni agricoli. Un gesto che, a prima vista, sembra incarnare il futuro; ma che, guardato con attenzione, nega silenziosamente il presente.
Aziende, investitori e consorzi bussano alle porte dei proprietari di terre coltivabili, offrendo affitti generosi per trasformare campi in distese di vetro e silicio. Le leggi lo consentono, gli incentivi lo alimentano, il profitto lo giustifica. Ma il paesaggio si piega. La terra, destinata alla vita, viene coperta, privata della sua funzione più naturale: nutrire, respirare, custodire biodiversità.
Questo non è un attacco all’energia solare, che resta una delle strade più importanti verso un futuro più pulito. È, piuttosto, una chiamata alla coscienza. Perché se la transizione ecologica dimentica il rispetto, se si trasforma in un’operazione meramente industriale, se sacrifica la bellezza del paesaggio e la vita del suolo in nome della produzione energetica, allora si allontana dal suo stesso scopo.
Troppo spesso, ciò che nasce come soluzione diventa problema. E in nome del “green”, si commettono atti ciechi. Si preferisce l’efficienza allo sguardo lungo, il ritorno economico alla responsabilità, il consumo all’armonia. I campi, invece di ospitare piante, accolgono strutture statiche; gli orizzonti, anziché aprirsi, si chiudono tra griglie metalliche.
Si può davvero parlare di energia pulita se viene prodotta sporchiando l’anima della terra?
La vera sostenibilità non è una somma di tecnologie, ma una visione. È equilibrio, rispetto, dialogo con il contesto. L’energia solare può e deve convivere con la natura: sui tetti, nelle aree industriali, nei parcheggi, negli spazi già compromessi dall’urbanizzazione. Lì dove la sua presenza non cancella, ma si integra.
Continuare a ignorare questa distinzione significa accettare un compromesso che ha il sapore dell’illusione. Serve un cambio di rotta, una nuova lucidità. Serve capire che ogni scelta ecologica che calpesta la terra perde il diritto di chiamarsi tale.
Questo pensiero non è un grido contro il progresso, ma un invito alla coerenza. È un richiamo a guardare con occhi nuovi, ad andare oltre la superficie, a chiederci non solo cosa produciamo, ma come, dove e a quale prezzo.
Perché l’energia del futuro, se vuole essere davvero pulita, dovrà illuminare il mondo senza spegnere la vita che lo abita.
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Frank Perna
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