Un riflesso silenzioso che ci chiede chi siamo davvero.
C'è un gesto che appartiene a tutti, una consuetudine silenziosa che attraversa le nostre giornate senza far rumore: quello di specchiarsi. Un riflesso catturato al volo tra le pieghe del tempo, una passata distratta per controllare se tutto è a posto. Lo si fa quasi senza pensarci, come parte di una meccanica quotidiana. Un’occhiata ai capelli, alla pelle, ai vestiti. Uno sguardo che cerca l’approvazione del mondo, la conferma di essere pronti, presentabili, accettabili.
Ma esiste un altro modo di specchiarsi, molto più raro, e forse per questo molto più vero. Un modo che non ha nulla a che vedere con l’estetica o con la superficie, ma che affonda le sue radici nella necessità silenziosa di fermarsi, di ascoltarsi, di riconoscersi. È quel momento improvviso, quasi inspiegabile, in cui si finisce col guardarsi negli occhi non per sistemare qualcosa fuori, ma per cercare qualcosa dentro. E non capita spesso, no. Capita quando lo sguardo inciampa nella profondità degli occhi e, senza sapere bene perché, resta lì. Immobile. A fissare quel riflesso che improvvisamente non sembra più solo un volto, ma una domanda sospesa.
Gli occhi. Quegli stessi occhi che ogni giorno attraversiamo senza davvero vederli, che oggi sembrano invece raccontare qualcosa. Sono loro a parlare, senza bisogno di suoni, a sussurrare pensieri, emozioni, stanchezze che nessuno legge mai. C’è un linguaggio nascosto in quello specchio che va oltre le parole, e che dice cose che forse abbiamo paura di ammettere anche a noi stessi. Perché lì, in quel riflesso, c’è tutta la verità che ogni tanto cerchiamo di dimenticare. Gli occhi, si dice, non mentono. Ed è proprio per questo che guardarsi davvero è così difficile.
Lo specchio diventa allora uno spazio sacro, un confine tra ciò che si mostra e ciò che si è. Non serve una stanza silenziosa, non serve nemmeno un tempo preciso. Serve solo il coraggio di rimanere fermi di fronte a se stessi e lasciare che l’immagine rifletta non l’apparenza, ma l’anima. È in quei secondi che può nascere qualcosa di profondo, qualcosa che somiglia a una confessione sussurrata, a un pensiero lasciato libero di esistere senza paura.
Non accade spesso. E forse è per questo che vale la pena ricordare che esiste. Che esiste un momento, un luogo interiore, dove ci si può guardare senza difese, senza filtri, e riconoscersi. Dove le maschere quotidiane cadono, e resta solo ciò che si è diventati. E da lì, proprio da lì, può iniziare un piccolo viaggio. Non un viaggio nel tempo o nello spazio, ma in quel misterioso territorio che è la consapevolezza. La consapevolezza di chi siamo, di dove stiamo andando, di cosa stiamo facendo con il nostro tempo, con le nostre relazioni, con le nostre scelte.
Nel riflesso di uno specchio ci sono spesso risposte che non sapevamo di cercare. E a volte, senza nemmeno accorgercene, finiamo per trovarle. Non perché siano scritte con chiarezza, ma perché gli occhi, quando parlano davvero, sanno farsi capire. Anche quando la mente ancora non è pronta a sentire.
Se “Pensieri e Parole” fosse una casa, avrebbe certamente un grande specchio appeso al muro. Non uno specchio per sistemarsi prima di uscire, ma uno specchio dove fermarsi a riflettere. Dove le immagini si intrecciano ai pensieri, e ogni sguardo diventa una possibilità per tornare a sé. Perché guardarsi, davvero, è un atto di coraggio. E chi riesce a farlo, anche solo per un attimo, compie il gesto più intimo e necessario che esista: quello di ritrovarsi.
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Frank Perna
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