Nel silenzio dei pensieri, i sensi tornano a parlare.
C’è un momento che arriva all’improvviso. Non lo si chiama, non lo si aspetta. Semplicemente accade. Un istante in cui tutto si fa silenzio, non fuori, ma dentro. La mente, quella stessa che ogni giorno si arrampica tra pensieri, preoccupazioni e sogni mai messi a fuoco, d’un tratto si acquieta. Come se decidesse, per una volta, di fermarsi.
Eppure non si tratta di stanchezza. Non è un addormentarsi dei pensieri, ma un loro farsi da parte. Una tregua. Un’apertura. Nel vuoto che resta, qualcosa respira. Non ha forma né nome, ma si percepisce.
È la quiete che non pesa, la calma che non paralizza. È l’assenza di rumore mentale, e proprio per questo, è presenza piena.
Chi vive con la mente sempre accesa conosce bene l’agitazione sottile che accompagna ogni giorno. Il pensiero costante, il bisogno di capire, l’urgenza di esprimere, come se ogni emozione dovesse essere subito tradotta, decifrata, scritta da qualche parte.
È un ritmo interiore che non conosce riposo.
Eppure anche quel ritmo, seppur instancabile, a volte inciampa. Non per errore, ma per necessità. Perché anche la mente, per quanto affilata, ha bisogno del suo silenzio. E quando quel silenzio arriva, somiglia a un respiro trattenuto troppo a lungo che finalmente si libera.
In quel vuoto non si cerca nulla, e proprio per questo si trova qualcosa. Non verità, non risposte, ma una strana forma di contatto. Come se il pensare smettesse di essere l’unico modo per vivere, e lasciasse spazio a un’altra forma di percezione. Una forma fatta di sensi.
Non come informazione, ma come esperienza viva.
I sensi, dimenticati o dati per scontati, diventano allora guide silenziose, come se mostrassero al corpo ciò che la mente aveva nascosto.
È in questa sospensione che si scopre quanto si sia diventati assenti. Non per mancanza, ma per eccesso. Perché il troppo pensare, spesso, allontana dal sentire. E il troppo fare, allontana dall’essere.
Eppure non è un vuoto da temere. È un vuoto fertile. Uno spazio in cui finalmente ci si ricorda di avere un corpo, dei sensi, un tempo proprio.
È un paradosso sottile e potente:
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Frank Perna
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