Quando un solo sbaglio sembra pesare più di una vita intera. Ma davvero un errore ci condanna per sempre?
C'è un aspetto della natura umana che raramente trova spazio nel dialogo collettivo, ed è il modo in cui si tende a ricordare l’errore, più che il cambiamento. Un singolo passo falso, una scelta sbagliata, un momento buio, ed ecco che tutto il resto sfuma. Si dimenticano le volte in cui si è stati giusti, i gesti gentili, le battaglie silenziose per diventare migliori. Resta l’ombra, nient’altro.
Non serve sapere chi, come o quando. La questione è più grande di ogni nome o storia. Riguarda l’idea che si ha di redenzione, di crescita, e soprattutto del diritto a essere qualcosa di diverso da ciò che si è stati. C'è chi sbaglia e si spegne, ma c'è anche chi sbaglia e da lì comincia a costruirsi davvero. Solo che questo, spesso, non fa notizia.
È facile ricordare il male. Più difficile vedere la trasformazione. Ancora più raro riconoscerla. Eppure, ogni essere umano è una traiettoria, non una fotografia. È fatto di giorni che l’hanno cambiato, di notti insonni in cui ha capito di voler essere altro. Di passi piccoli, invisibili agli occhi, ma giganteschi per chi li compie. Il problema è che questi passi non fanno rumore, non si annunciano. E chi guarda da fuori spesso li ignora.
C’è una sorta di pigrizia nel giudizio. Si prende l’attimo in cui è successo il peggio, lo si incolla addosso alla persona, e lo si rende eterno. Come se nessuno fosse mai stato altro. Come se la crescita fosse un lusso riservato a pochi, o una favola da raccontare solo quando non disturba nessuno.
Ma la verità è che le persone cambiano. Non sempre. Non tutte. Ma molte sì. E chi lo fa davvero, spesso, non chiede comprensione. Chiede solo di non essere tenuto in ostaggio da un passato che ha scelto di superare.
Ci si potrebbe chiedere: basta volerlo per meritare una seconda possibilità? La risposta non è semplice. Dipende. Da quanto è stato profondo l’errore. Da quanto ha ferito. Da quanto reale è il cambiamento. Ma ciò che è certo, è che nessuno dovrebbe essere escluso a priori da quella possibilità. Perché la crescita non è una linea retta, è fatta di curve, di inciampi, di ritorni e di ripartenze.
E se continuiamo a raccontare solo le cadute, senza mai guardare dove conducono, allora ci perdiamo la parte migliore delle storie. Quella dove la fragilità diventa forza, e il fallimento diventa consapevolezza.
Se c'è qualcosa che possiamo fare, è imparare a guardare oltre. Oltre il giudizio rapido, oltre il bisogno di etichettare, oltre il primo impatto. Perché, in fondo, la dignità di un essere umano non si misura nei suoi momenti peggiori, ma nel coraggio con cui decide di trasformarli.
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Frank Perna
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